Relazionalità semplificata
Relazionalità semplificata, meno faticosa, più diretta ed estesa. Quali insidie si nascondo dietro al chattare? Perché il dialogo è impegnativo? Un viaggio alla scoperta degli adolescenti e di quanto sia importante l’educazione digitale.
Partiamo dai dati: Smartphone e dipendenza, nella pandemia peggiora la dipendenza dei giovanissimi. “Il 79% di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 18 anni attiva il telefono anche 120 volte, dedicando più di quattro ore al giorno, 120 ore al mese”. fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/…/smartphone…/6031308/
Inizia un viaggio di scoperta e di consapevolezza delle emozioni
Mi ritrovo in una stanza piena di adolescenti, e dopo il primo quarto d’ora abbiamo rotto il ghiaccio e stiamo parlando di tante cose. I nostri discorsi spaziano dal come ti vedi tra cinque anni, a come si aumentano i follower su Instagram. Sorrido, le sedie si avvicinano sempre più, il cerchio diventa più stretto, unito. Comprendo che mi stanno includendo nel loro mondo, che mi stanno iniziando ad accettare e a non vedere più come la “grande”. Poi Paolo se ne esce con “sembri uno di noi! “. Sorrido, mi rende felice, è un gran bel complimento. Prima l’educazione digitale si poteva fare in presenza e, onestamente, ne ho molta nostalgia.
Non si può piacere a tutti e non si deve piacere a tutti. Ognuno deve ascoltarsi e comprendere le proprie emozioni. E’ solo da ascolto e consapevolezza delle proprie emozioni che si possono costruire relazioni significative.
Finiamo a parlare del mio lavoro, della comunicazione, delle crisi mediatiche, dei problemi che si possono avere con il web, ma anche di come ci sia finzione, Giorgia allora mi dice “Guarda il profilo di X, secondo te è bella?”, Vittoria mi chiede di guardare il profilo di Y e poi irritata esclama “Come fa ad avere più follower di me, è una sfigata!” e Paolo prosegue “Perché nessuno mi fila? faccio un sacco di video interessanti!”. Poi la frase fatidica: Francesca ci insegni a diventare famosi su Instagram? Cavolo guarda quanti follower hai sui social!
Filtri, makeup che cambia la fisionomia, bisogno di attenzione, sentirsi superiori, fama, … sono davvero temi che andrebbero affrontati attraverso un dialogo costante. Spesso gli adolescenti si trovano davanti a contenuti digitali senza avere gli strumenti per comprenderli appieno. Non possiamo lasciarli solo a interpretare un qualcosa di cui non possiedono gli strumenti. Per non parlare della differenza tra chattare e dialogare e soprattutto dell’impegno e della differenza di energie necessarie tra il primo e il secondo caso. Chi gli ricorda quanto sia impegnativo affrontare temi come il rapporto con il proprio corpo, l’accettazione di sé, la comprensione delle emozioni, magari seduti e guardandosi negli occhi, senza interruzioni di sorta?
Relazionalità semplificata vs connessioni significative
Allora definitemi cosa significa per voi avere follower, proseguo decisa a voler arrivare a parlare di relazioni significative e dell’importanza del dialogo. Inizia la “corsa alle risposte migliori” che poi di migliore non c’è nulla, tutto è migliore: è il vostro pensiero. E risposta dopo risposta arriviamo ad un concetto importante: perché avete bisogno di follower? Ed ecco la fatidica risposta: creano reputazione.
#Consapevolmenteconnessi significa creare con consapevolezza, responsabilità relazioni significative, ovvero quelle in grado di aiutarci a migliorare, come l’amico, il compagno di squadra, il compagno di classe che ci aiuta a migliorare in una materia. Abbiamo tante relazioni oggi, possiamo allargare il numero di amici, ma siamo sicuri di non perdere il valore dell’amicizia, quello profondo? Non stiamo semplificando i concetti, i valori e anche le relazioni stesse? So che sto rischiando di tornare a sembrare grande, ma il mio ruolo in questo momento è generare consapevolezza e rendere questi giovani più responsabili delle loro azioni soprattutto attraverso l’uso del digitale.
L’ascolto attivo è quasi un trucco di magia
Penso alla migliore strategia per conquistare la loro attenzione: lo sapete che conosco un trucco per capire se mentre chatto con qualcuno questo sta chattando anche con altri? E’ una frase che ho lasciato scivolare facendo finta di guardare le mie unghie stranamente smaltate. Alzo lentamente la testa per cogliere qualche sfumatura e vedo 40 paia di occhi incollati su di me. Sorrido. Faccio finta di nulla, proseguo nel guardarmi le mani e percepisco la loro sete di sapere “un trucco”. Paolo non resiste “Ma un trucco tipo quello che ti fa cambiare livello?”. Confermo. E mentre sto per iniziare a spiegare Matteo che era stato in silenzio fino a quel momento mi guarda quasi con terrore e pronuncia il suo “Davvero?”. “Beh che problemi hai tu, che chatti con migliaia di ragazze?” interviene subito Paolo e allora colgo l’occasione “forse è per questo che vuole sapere, non pensava che qualcuno potesse accorgersi”. Così arriviamo al tema centrale.
Relazionalità semplificata, chattiamo? No, dialoghiamo con gli adolescenti
Oggi relazione significa numero di contatti: nella rubrica, nei social, nelle App. Significa collezionare chat e mostrarle, significa poter conversare con più persone contemporaneamente semplificando qualsiasi “conversazione”. Devo dire una cosa a più persone? Creo un messaggio e lo copio-incollo a N. oppure creo un gruppo e lo invio direttamente senza pormi domande se le persone sono felici di essere inserite in questo gruppo. “Per me è più semplice, veloce” dunque lo faccio. Il punto su cui riflettere qui è che stiamo mettendo un io al centro e non l’altro., al quale dovremmo dedicare attenzione. C’è disequilibrio.
Chattare significa semplificare, risparmiare tempo, … in ogni attività, anche quando si fa la spesa. “Mandami un WA con la lista”, facile, veloce, ma implica che uno ha una responsabilità, ma l’altro non solo esegue semplicemente, ma non contribuisce alla “creazione di cosa si farà, non partecipa”. E di conseguenza, non dovrebbe poi criticare le scelte. Ancora una volta c’è un disequilibrio.
La chat come difesa dalle nostre vulnerabilità
Oggi via chat si chiede tutto con estrema semplicità dal flirtiamo, ci mettiamo insieme, facciamo sesso, all’indagine sulle cose più intime e private, quasi fosse un’intervista. Si salta il coinvolgimento emozionale, diventa informazione. Tutto è facile, tutto è semplice, tutto è diretto. Si passa dal parlare di un viaggio, di una canzone, a cosa ti piace fare a letto o ancor peggio cosa sei brava a fare a letto. Si tende ad eliminare rischi di perdita di tempo, delusione, a favore di un io che non vuole perdere tempo, accorcia le distanze prima, elimina la parte “emotiva”, o meglio non necessita di competenze emotive. Sappiamo già dove vogliamo arrivare dunque non c’è bisogno di strategie per raggiungere il momento desiderato.
Ma il punto è che in una conversazione in presenza, in un dialogo conoscitivo o di presentazione, non medito dal digitale, ciò che emerge è la completa mancanza di competenze relazionali e di empatia. Sempre più spesso si assiste ad imbarazzo, a non sapere cosa chiedere e come chiederlo.
Per costruire competenze dobbiamo farle sperimentare, sta a noi mettere le basi del dialogo, del guardare negli occhi, della pacca sulla spalla quando serve e dello stringersi la mano per salutarci a volte per sempre (questo lo faremo appena sarà possibile). Ciò che diventa fondamentale è creare le situazioni ottimali per fare sperimentare le competenze emotive necessarie.
Quante ore al giorno vengono dedicate al dialogo?
Dialogo e esempio positivo
Ancora una volta ciò che dobbiamo portare avanti è l’educazione attraverso l’esempio. Dobbiamo dialogare, dobbiamo confrontarci, ma soprattutto dobbiamo dimostrare che esiste la dipendenza digitale e la capacità, invece, di vivere anche senza notifiche. Quando si parla di Digital Detox si parla di regole che siamo in grado di darci nella gestione del digitale e dunque di momenti in cui “stacchiamo”.
Ti lascio con qualche spunto di azioni e attività che hanno fatto bene a me, ai miei cari e ai miei clienti:
- Quando scrivo contenuti, studio o mi aggiorno e nel mio time scheduling ho delle attività che necessitano di concentrazione metto il telefono in “non disturbare” (utilizzo blocchi da 60 minuti)
- Quando sono da un cliente metto il telefono in “non disturbare” (generalmente un incontro dura tra i 45-50 minuti)
- Sfrutto appieno le modalità di programmazione reiterate del telefono: orario di impostazione “non disturbare” sia in settimana che nel week end. Lo smartphone rimane in un punto della casa e non mi segue ovunque.
- Nella pausa pranzo “non disturbare” e alla fine dell’orario di lavoro “non disturbare”. Lo smartphone rimane in un punto della casa e non mi segue ovunque.
- Quando ho il telefono con me è sempre in modalità vibrazione.
- Ho sempre impostati e personalizzati i numeri prioritari per i quali il telefono continua ad avere notifiche sonore, perché so essere importanti.
- La programmazione dei “Non disturbare” non lascia mai scoperte le attività principali e le possibili emergenze grazie alle chiamate ripetute. Se da un numero arrivano più chiamate, il numero si sblocca (ipoteticamente si tratta di un’emergenza)
“Non mi porto il telefono”, “Lascio qui il telefono”, “Non mi serve il telefono per questa ora insieme” sono frasi che aumentano la consapevolezza sulle necessità o meno dello strumento per un determinato periodo di tempo. “Ciao, stavo pranzando. Adesso hai tutta la mia attenzione”, “Ciao, stavo scrivendo un pezzo sui trend; ora hai la mia completa attenzione, dimmi pure” sono frasi che hanno “educato” i clienti a comprendere il rispetto dell’orario e a migliorare la consapevolezza anche delle attività. Nessuno predilige un cliente ad un altro, si tratta “solo” di “organizzazione del tempo in attività”. Ovviamente l’agenda ha sempre l’alternanza di un’ora di off e un’ora di disponibilità. Si tratta di spunti che possono essere adattati alle singole attività e in base alla tipologia di lavoro che si svolge. La linea guida è per dare il buon esempio agli adolescenti con cui si vive 😉
Ed eccoci qui, pronti a trasformare una relazionalità semplificata in uno straordiario dialogo che … chissà dove ci porterà!