Perché la priorità del web, oggi, è la protezione della comunicazione? Quali sono le regole? Quale il nuovo contesto sociale? Quali le dinamiche sociali? Che tipo di strategia si deve adottare per la tutela del brand? Da dove si deve cominciare per diminuire i rischi di crisi reputazionale?
Sono passati ventisei anni da quando ho iniziato a lavorare nell’ambito della comunicazione e del digitale. E dodici anni da quando ho deciso di specializzarmi nella comunicazione nelle emergenze e nelle crisi. Era il 1997 quando mi sono “follemente innamorata del web e delle sue opportunità per la formazione e per l’accesso a contenuti digitali in ambito accademico, prevalentemente americani. Ma anche per le liste di discussione nelle quali si imparava molto, si conoscevano professionisti e, tramite queste ci si incontrava offline ai Convegni”. Devo moltissimo al web per la mia carriera accademica e professionale ed è per questo che continuo a credere nelle opportunità che offre. Come per qualsiasi altro strumento però, è l’uso che ne facciamo che ne delinea le caratteristiche. E l’uso è guidato dalle persone. Le persone con il loro comportamento, nuove abitudini, evoluzioni sono il centro, ed è appunto da qui che dobbiamo partire. Lo strumento e il mezzo si evolvono tecnologicamente, ma l’uso è gestito dalle persone; anche quando parliamo di AI le linee guida (input) vengono date dalle persone. E dunque anche l’output generato è condizionato dalle persone. Quelle stesse persone che tanto tempo fa per prendere la parola avevano bisogno di numerosissimi passaggi; e che oggi devono “solo cliccare invia”. Quelle stesse persone che prima di prendere la parola si chiedevano è davvero significativo? segue le regole della lista? perché la parola aveva un valore, un senso, un peso specifico importante e impattante. Nelle liste c’era un regolamento che bisognava accettare per entrarne a far parte. Ci si doveva identificare. Oggi la parola scivola sempre più spesso in un concetto di “riempire”; e nell’online con il sinonimo di “manifestare la propria presenza”. E questo “riempire” ha anche un altro aspetto, numero di follower. Il focus è sulla quantità e non sulla qualità. Posto dunque sono, scrivevo nel mio libro Ufficio stampa e digital PR, la nuova comunicazione, (Hoepli, 2017) e in quel posto dunque sono, oggi, il focus è sull’atto del postare e non sul contenuto e sul valore aggiunto che siamo in grado di apportare.
Ci siamo desensibilizzati all’importanza della parola, al suo peso, perché il focus si è spostato è nell’atto stesso del dire, del postare, del mettersi al centro. C’è un io che agisce e che pretende di rimanere il centro dell’azione. L’altro è, sempre più spesso un di cui funzionale all’io (sei importante quando devi acquistare, quando metti mi piace, quando diventi un follower, per fare un esempio). E di conseguenza anche la comunicazione cambia e si modifica sempre più verso una parola (che poi diventa contenuto) priva di un “peso specifico”.
Ecco che si commenta qualsiasi cosa, ci si arroga il diritto di esternare qualsiasi pensiero, anche svilente nei confronti dell’altr*. Si usano sempre più spesso parole ostili, perché “ingaggiano maggiormente” e, talvolta non ci si rende conto che quel pensiero esternato attraverso quelle parole racconta molto di noi. La parola ci descrive. Ma questo proiettarsi online per riempire la paura del vuoto (non posti dunque non esisti), questo bisogno di inserirsi costantemente nella conversazione web rischia di trasportarci verso un concetto errato del web “un luogo da conquistare con sempre maggiore urgenza”. Invece di considerarlo come opportunità in cui formarsi, conversare, costruire e fare business.
Ed ecco che la parola affrettata e inserita in maniera più ego riferita che valoriale, con la sua perdita di “peso specifico” influenza ogni aspetto della nostra vita, comprese le relazioni, anche quella con noi stessi. Come ci parliamo? Che peso attribuiamo? Che parole utilizziamo verso noi stessi? E di conseguenza verso gli altri?
E la comunicazione come ne viene influenzata?
Partendo da tutto questo la comunicazione, oltre ad avere un ruolo fondamentale nella percezione del mondo, e nella relativa influenza, ha acquisito un peso impattante proprio per l’uso “sconfinato” nel digitale; che ne ha poi influenzato le modalità offline. Il modo di comunicare è cambiato e non sempre in meglio. Non esistono più le pause del silenzio quando siamo soli (piuttosto ascoltiamo un podcast, o usiamo una App che ci guida nella meditazione); o quando siamo in un gruppo per mettere tutta l’attenzione nell’ascolto (sta in silenzio, è un asociale). E dunque, ora che abbiamo riflettuto sul contesto in cui siamo immersi in maniera omnicanale, abbiamo una sola domanda da porci: come possiamo renderci utili? Come possiamo comunicare al meglio?
PUNTARE AI VALORI, MA DANDO IL GIUSTO PESO ALLE PAROLE, I BRAND DEVONO IMPARARE LE NUOVE REGOLE PER CONVERSARE
A questo punto ti starai chiedendo, ma cosa c’entra tutto questo con la tutela del brand? E con il titolo di questo approfondimento “Regola numero uno: proteggere la comunicazione”? Adesso arriviamo al punto e ti sarà sicuramente molto più chiara l’importanza della protezione della comunicazione attraverso l’uso delle parole “giuste” e delle relazioni, che devono assolutamente ritornare ad acquisire un ruolo significativo.
Attenzione ai washing! Parole, parole, parole …
Quotidianamente assistiamo a washing (green, pink, arcobaleno, ecc.), a backlash, a “shit storm” attorno a personaggi pubblici e alle loro dichiarazioni; a crisi reputazionali che si ripercuotono su brand, corporate e di conseguenza anche a livello economico. Da cosa dipendono? Dal fatto che stanno comunicando pubblicamente ad una platea indefinita e indefinibile, con valori vicini, lontani, condivisibili o meno, a persone che credono fermamente nei propri valori. E che si sentono in diritto e in dovere di difendere quello in cui credono, con le proprie competenze e le parole più significative per loro. Non possiamo giudicare i valori altrui, non è nostro compito nell’ambito della comunicazione in questo scopo specifico; così come non possiamo giudicare l’approccio a quei valori. Dobbiamo prendere atto che il contesto è cambiato e anche le modalità relazionali e conversazionali e dobbiamo imparare le nuove regole.
Se lo condivido online, non lo sto condividendo “alla mia nicchia ristretta”, nel web non vi sono confini. Dobbiamo ricordarlo sempre, conversare online significa creare contenuti di cui perdiamo la governance e che chiunque (perché un nostro conoscente può fare lo screenshot, lo può ricondividere a sua volta e un suo contatto o un contatto del suo contatto farlo circolare).
Ogni criticità può diventare opportunità e ogni opportunità può diventare una criticità, è qui che dobbiamo costruire la nostra comunicazione.
PRIMA DI POSTARE QUALSIASI CONTENUTO CHIEDITI CHE RISCHIO STAI CORRENDO E RISCRIVILO CON LA NUOVA CONSAPEVOLEZZA
Amo scrivere più di qualsiasi altra attività, ma negli ultimi anni attraverso corsi, consulenze e servizi lavoro sulla riscrittura e sull’analisi dei testi, per costruire una comunicazione “a basso rischio”. Oggi è impossibile pensare di ottenere una comunicazione senza rischi. Sfrutto appieno la mia laurea in Lingue e Letterature Straniere ad indirizzo filologico nella sua “attualizzazione al digitale”.
E su questo ho immaginato una comunicazione a valore aggiunto, con un fattore del +2% che sposta l’asse sulla revisione a beneficio di una comunicazione “a basso rischio”. Una comunicazione che parte dall’analisi e dalla ricerca di tutti i potenziali rischi di quel contenuto, messaggio, concetto e li traduce in un’anticipazione propositiva già presente nel contenuto. Oltre a diminuirne il rischio, favorisce una maggiore profondità di relazione.
QUALCHE CONSIGLIO PRATICO
Ti lascio con alcuni punti utili alla revisione dei contenuti e della comunicazione per identificare il tasso di criticità e diminuirne il rischio:
- Parti dal piano di comunicazione e inizia ad analizzare i contenuti da punti di osservazione differenti (soprattutto rispetto a pensieri contrastivi e verso un polo conversazionale opposto al tuo). Dove è attaccabile? In quale contenuto?
- Inizia a prendere nota di quali aspetti emergono da chi la pensa in maniera opposta, differente, simile ma con sfumature diverse; fallo attraverso gruppi, commenti e nelle recensioni a libri che affrontano il tema in maniera diversa da come lo affronti tu. Analizza il punto di vista, le caratteristiche e poi chiediti se non ci possono essere dei punti da approfondire. In questo modo avrai spunti da inserire nei contenuti;
- No, non devi piacere a tutt*, ma non devi essere neppure insensibile o svilente e qui le parole “pesate e pensate” ci portano a comprendere che abbiamo sempre molto da imparare (anche chi usa la parola per mestiere sbaglia);
- Focalizziamoci sull’importanza della parola: attenzione, molto spesso i washing green sono proprio legati ad un uso errato delle parole tecniche. Impariamo a riprendere in mano il vocabolario con tutte le definizioni, sfumature, sfaccettature; ritorniamo a scegliere noi e a non lasciare scegliere Google la definizione “corretta”;
- Non dimentichiamo che il contenuto è in grado di creare relazioni significative, e dunque ricordiamo due cose fondamentali: a) ogni parola va “pesata” in funzione del più alto numero di approcci possibili a quel tipo di contenuto; b) in una conversazione ostile focalizziamoci sull’oggettività nell’uso delle parole e rispondiamo con responsabilità, appunto “pensando le parole” e mettendole nell’ordine più efficace;
- Le parole per avere un peso ulteriore devono portare con sé azioni. Non possiamo dichiarare di credere in una causa e poi non dimostrare la reale partecipazione attiva, dunque riempire le parole con i dati oggettivi è oggi indispensabile.
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Crisi mediatica: come mitigare, prevenire e gestire una crisi
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