L’Ufficio stampa: Tragicommedia in dieci atti, con prologo, epilogo e una rassegna stampa
Come sopravvivere ad un ufficio stampa senza venire risucchiati dalle nostre stesse emozioni di Francesca Anzalone
Non meno di tre mesi fa una collega disperata mi chiese di bere un caffè insieme per un consiglio. Era talmente agitata che quando arrivò e appoggiò tutti i report stampati dell’attività sul tavolo, non si accorse che erano in equilibrio precario e così dopo neppure un minuto, caddero e si sparpagliarono sul pavimento. Nell’intento di raccoglierli urtò il tavolo e fece rovesciare una delle due tazzine di caffè.
“Calmati” le dissi. “Spiegami il problema e vediamo di risolverlo. Adesso raccontami la fine e poi torniamo al principio”.
E così fui travolta da un’onda gigante di emozioni, che cavalcavano anarchicamente i minuti della narrazione. Riuscivo a malapena a cogliere qualche parola qui e lì tra un “ma ti rendi conto?”, un “ma ti pare possibile?”, un “ma poi lui che esperienza ha?”. Arrivando al problema, erano mesi che seguiva un ufficio stampa e molto probabilmente era un’attività non compresa dal titolare. Ma il punto non era l’attività non compresa, ma l’energia negativa che circolava in quel contesto e che, come nel caso della spiegazione, stava appannando la percezione anche della diretta interessata che sprecava più energie a difendersi che a costruire una cultura consapevole. Le parole utilizzate erano “non è semplice”, “non riesco ad accontentarla”, “non funziona così” generando come era prevedibile una sensazione di sfiducia e soprattutto di mancanza di professionalità. Cosa assolutamente non vera. Leggi l’articolo intero sulla mia rubrica #ConsapevolmenteConnessi in Uomini & Donne della Comunicazione